In questi giorni piove su Sappada, sulle nostre Alpi. È soprattutto grazie ai sentieri delle Alpi che, nella mia vita, ho conosciuto il selvaggio. Qua c’è bisogno di attenzione: la svolta dietro alla forcella c’ha svelato il misterioso pascolo di sontuosi stambecchi. Ma un passo falso appena fuori dal sentiero ci ha fatto cadere in dolorosi lutti familiari. Letteralmente, la sosta per la fame di mortadella, ci ha salvato da una piccola frana. Nei sentieri del bosco, impari a percepire attenzione, rispetto, sgomento e ammirazione verso una viva quiete e le altre forze viventi.
Oggi il silenzio in alcune aree delle nostre Alpi non è più vivo, ma derelitto, defunto. Non è l’anima della foresta a generare un timore reverenziale, ora. Una vorace, oscura, gigantesca forza l’ha annichilita.
Il 29 ottobre 2018 il vento a oltre 200 chilometri orari della tempesta Vaia ha distrutto, nel Comune di Sappada, almeno 250 ettari che, se conti una media di 350 alberi per ettaro, fanno più di 80.000 alberi schiantati.
Si è alterato un equilibrio che per ogni essere vivente risuonava nei cicli dell’infinito: non è la foresta a incuterci timore, ma siamo noi a atterrire noi stessi.
Iniziamo a riconoscerli, nelle cronache, come eventi metereologici estremi causati dal riscaldamento terrestre provocato dall’umanità. La vita globale di molti va avanti, in verità, quasi immutata e continuerà ancora a provocare collettivamente questa vorace, oscura, gigantesca forza di distruzione del mondo.
Ma vi assicuro che in fondo al nostro cuore, nel profondo della coscienza collettiva, ci sono più lacrime delle gocce di questa pioggia d’estate su Sappada. Il conflitto globale è questo qua, nei nostri cuori.
[in questi giorni sono con Elena Cobez a Sappada per raccontare la Summer School della Giant Trees Foundation nel contesto dei danni causati da Vaia, ovvero «l’evento di maggior impatto agli ecosistemi forestali mai registrato fino ad oggi in Italia»]