Sono andato a rileggere ‘Trieste Selvatica‘ di Luigi Nacci, con lui e altri viandanti, proprio così. Ho oltrepassato la vecchia barra di confine a Bottazzo e, su per il bosco, ho iniziato a fiutare la libertà: tra i raggi di luce nel querceto, una luce interna, il fuoco, l’elettricità, la coscienza aumentata dei propri sensi.
Intraprendiamo l’inesplorato, inseguiamo Luigi. Per giorni abbiamo abbracciato colline di landa, boscaglia e foreste, schivato crepacci e inghiottitoi, intravisto i caprioli, le tracce e le ‘fatte’ della volpe, dell’orso e del lupo, sotto le mille luci di un cielo continuamente massaggiato dalla bora, per giorni fino al Monte Maggiore, detto anche “Učka”, il monte dei lupi e, lì, abbiamo sovrastato le isole, intravisto altri altipiani carsici, enormi, tutta l’Istria, le alpi giulie.
Nei villaggi, solo una punteggiatura del cammino, siamo stati ristorati e abbiamo incontrato gli umili, gli insoddisfatti, i senza lavoro, chi se ne frega, chi conserva il morbìn malgrado tutto, sloveni, croati, chi parla “mišto” e chi ci ha offerto non un bianco cuvèe ma “vino bianco mišto“. Trieste «vista da questa prospettiva non è che una periferia, un elemento accessorio del quadro» e, così, sono le città di Capodistria e Fiume.
Nelle chiacchiere dei triestini si parla di un sogno: di poter vedere, da casa, il mare. È il sogno più luccicante ed è più facile esserne coscienti. Ma la materia dei nostri sogni è fatta anche di qualcos’altro, più sepolto, più arcaico.
Da alcune finestre vediamo il mare, ma da altre si erge il bosco cresciuto tra le pietre bianche, cioè la nostra terra selvadiga, fatta di confini e senza confini, che permette a tutti di essere liberi. Il sogno più sepolto di questo territorio è aspirare alla ‘libertà dell’orso’ che è fuoco e, poi, accoglienza dell’ignoto, del diverso, del “mišto”. E inizia prima della barra di Bottazzo. Inizia un passo fuori dall’appartamento, sopra le nostre pietre.
Luigi Nacci, il suo libro ‘Trieste Selvatica’ (Laterza, 2019) e la Ciceria concreta coltivano insieme l’emersione di questa libertà, una dimensione del ‘chi siamo’ ben più profonda della retorica di carta della Mitteleuropa. Meritano un posto d’onore nelle opere creative e spirituali, centrate su Trieste, il Carso e l’Istria.